"QUINDI ORA MI STAI PSICANALIZZANDO?". Differenze tra psicologo, psichiatra e psicoterapeuta.

 

Quando mi capita di conoscere qualcuno, in un contesto sociale che esula dalla mia attività, e dichiaro di essere una psicologa, spesso mi sento dire diverse cose. Senza entrare nelle più svariate e creative affermazioni, credo che quella più emblematica sia: “Quindi ora mi stai psicanalizzando???”. La mia risposta è sempre no, perché io non sono una psicanalista, e quindi non sono una psicoterapeuta, ma sono psicologa.

Facciamola semplice. Quindi cercherò di spiegare brevemente  chi sono le figure che ho riportato nel titolo.

PSICOLOGO/A Si definisce tale, la persona che ha svolto un percorso di laurea di 5 anni, praticato un anno di tirocinio formativo post laurea e sostenuto l’EdS (Esame di Stato), conseguito e quindi abilitato. Può praticare tale attività solo se risulta iscritto all’OdP (Ordine degli Psicologi), solitamente della propria regione di attività. Lo psicologo può svolgere tutte le attività che sono riportate nell’art.1 legge 56/1989, e in congruenza delle competenze acquisite.

PSICHIATRA. È una persona che ha seguito tutto l’iter formativo per diventare medico, prima, e psichiatria come specializzazione. Senza altra formazione, l’attività principale dello psichiatra è quello di prescrivere farmaci, solitamente psicofarmaci, per contrastare i disturbi mentali.

PSICOTERAPEUTA. Corrisponde, almeno in Italia, a quella persona che è abilitata nella professione di  psicologo o di medico, a cui poi ha aggiunto un percorso di specializzazione in psicoterapia (solitamente di 4 anni). Le attività dello psicoterapeuta sono ugualmente riportate nel già suddetto art.

Ora, prima di concludere, è giusto specificare che, mentre la formazione per diventare psicologo non è uguale per tutti, tale differenziazione aumenta nel percorso di specializzazione. Per poter “psicanalizzare” qualcuno, bisogna aver fatto la suola psicoterapeutica di stampo Freudiano e autori successivi. Quella Junghiana è invece viene chiamata Psicoterapia Analitica. Tra le più conosciute vi sono la Cognitiva-Comportamentale, la scuola Sistemica Familiare, la scuola Costruttivista, quella Gestaltica e altre. Poi alcune possono seguire un indirizzo più infantile, adolescenziale, altre più legate alla sfera adulta o alla famiglia.

Nonostante vi siano degli studi che promuovono e attestano un maggiore successo tra l’abbinamento di “disturbo” e psicoterapia, io credo che il percorso più efficiente dipenda dalla persona, dal professionista e le sue competenze e l’interazione tra questi elementi.  D’altronde, come dicono i gestaltisti:  “Ogni insieme è qualcosa di più della semplice somma delle sue parti”.

OPS...NON ME LO RICORDO....!

Quante volte sarà capitato di sentirvi in imbarazzo davanti a qualcuno perché “sapete di conoscerlo ma non vi ricordate chi è”, o non riuscite a trovare le chiavi perché non vi sovviene dove le avete messe,  oppure non vi viene in mente il nome di una persona che avete conosciuto giorni prima o ancora vi capita di dire a qualcuno: “perché non me l’hai detto prima?” ricevendo come risposta: “te l’ho detto!”.

 

 

Senza entrare negli allarmismi di un: “Oddio, mi sta venendo l’Alzheimer”, è bene ricordare che sono diversi i fattori (attenzione, memoria, contesto, interesse, emozioni…) che entrano in gioco sia nella memorizzazione che nel recupero delle informazioni; quindi è possibile dimenticare informazioni a qualsiasi età. Inoltre è bene ricordarsi, citando Tulving e Thompson (1973) che “si può recuperare solo quello che si è immagazzinato, e….come ciò possa essere recuperato dipende da come è stato immagazzinato”. In parole povere: a volte non possiamo ricordarci di un informazione che non è mai entrata nel nostro bagaglio di ricordi, o se c’è, ritrovarla dipende da come l’abbiamo riposta in valigia.

Prima ancora di pensare alle strategie di recupero, è più utile quindi parlare di strategie di immagazzinamento. Queste ci aiutano a rendere più stabile il ricordo non solo nel tempo, ma anche in termini descrittivi, in modo più dettagliato.

Alcune di queste strategie le mettiamo in pratica senza rendercene conto (il processo di memorizzazione è automatico), e ancora di più quando proviamo un grande interesse per qualcosa o qualcuno; proprio perché ci vengono così naturali e motivate da qualcosa che ci tocca emozionalmente parlando, non sono riconosciute. Vi sono però dei casi in cui il loro utilizzo consapevole, a volte un po’ meccanico, ci può venire in soccorso e prevenire figuracce o dispendio inutile di tempo nel recupero (ad esempio quando proprio non ricordiamo dove abbiamo messo le chiavi).

Una delle problematiche maggiori riguardo a queste dimenticanze riguarda l’attenzione e gli automatismi. Quando lasciamo che il nostro corpo faccia le cose senza che noi ci pensiamo, allora capita che non ricordiamo. L’ATTENZIONE è la capacità di una persona di rivolgere i propri sensi (uditivi, visivi..) verso uno stimolo; l’AUTOMATISMO è la capacità di fare un qualcosa senza usare, o solo in parte, l’attività cognitiva volontaria. Si pensi ad esempio quando siamo al volante: non pensiamo a tutto quello che dobbiamo fare per cambiare la marcia o quando dobbiamo fermare il veicolo perché siamo giunti a casa. Attenzione e automatismo tendenzialmente sono due abilità che utilizziamo in maniera inversa: all’aumentare dell’una diminuisce l’altra. La caratteristica principale dell’automatismo e di renderci più competenti e veloci quando facciamo una cosa: sarebbe infatti impensabile passare in rassegna, ragionare su tutti i movimenti e le azioni da mettere in pratica per guidare o suonare uno strumento. Solitamente questo lo facciamo quando stiamo imparando qualcosa di nuovo. Così anche nella vita di tutti i giorni la presenza degli automatismi ci rendono capaci di fare tante cose a discapito però di una elaborazione quanto più consapevole e raffinata. Ed ecco che ci capita di andare in un negozio che si trova nella strada che facciamo tutti i giorni per andare a lavoro, accorgendoci però ad un certo punto di essere andati oltre, guidati, in tutti i sensi, dall’abitudine piuttosto che dal bisogno del momento. E ci capita ancora di più quando si vive un momento di alto stress e le preoccupazioni ingombrano il nostro spazio razionale.

Altre elementi che disturbano l’elaborazione congrua di un informazione sono le interferenze, ovvero degli eventi o stimoli che richiamano l’attenzione a discapito di quelli che dovremmo registrare. Quando ci viene presentata una persona siamo talora più propensi a dare una bella stretta di mano per dare una buona impressione invece che concentrarci sul nome che la persona ci sta dichiarando. In quel momento, quell’atto sociale impegna il nostro spazio attentivo impedendoci di registrare adeguatamente l’informazione del nome.

Gli esempi che si possono fare sono tantissimi e, sono sicura, che se ci pensate un attimo verrà in mente anche a voi qualche episodio che, se analizzato dal punto di vista dell’attenzione, non mancherete di notare che vi è capitato.

Allora: come migliorare la nostra capacità di “immagazzinamento” e ottenere una elaborazione profonda? All’inizio non sarà facile, perché richiede l’azione volontaria di alcune strategie; successivamente potrebbe diventare uno strumento a cui attingere senza troppe complicazioni e, per alcuni versi, automatico.

Una prima strategia è quella della VISUALIZZAZIONE: visualizzare vuol dire rendere visivo. Se ad esempio stiamo ascoltando una descrizione possiamo immaginarla nella nostra testa. Questo è molto utile anche durante lo studio perché permette di aggiungere un informazione visiva a quanto stiamo leggendo. La memoria visiva, solitamente, ha una durata maggiore di quella verbale. Quindi, quando qualcuno ci sta raccontando qualcosa, possiamo provare ad immaginarla come un film.

 

 

La seconda strategia è quella delle ASSOCIAZIONI: questa può essere utilizzata soprattutto quando dobbiamo ricordarci un nome o una notizia.  Se una persona si presenta dicendovi che si chiama Stefano, potete cercare tra le vostre conoscenze una persona che si chiami così: ad esempio vostro cugino… magari aggiungendo informazioni come: quello che vive a Roma. Inoltre, farsi dire il cognome aiuta in due modi: si può invitare a chiedere il cognome ripetendo il nome: Stefano…? Cogliendo l’occasione per ripetere a voce alta il nome e, secondariamente ottenendo una maggiore informazione e aumentando le associazioni: Abate, come S. Antonio.

Durante una conversazione poi, ci possono essere molti elementi che possono essere associati con quello che noi possediamo già in magazzino. Pensarle come risorsa e cercarne per usarle a nostro vantaggio migliora quindi la traccia e, di conseguenza, il recupero.

 

La cara e vecchia strategia della RIPETIZIONE: può essere utile, durante una conversazione, fare delle domande agganciandosi all’ultima parte del discorso e utilizzandola nella prima parte di quello che si dice: “Quindi…prima di andare da lei sei andato al supermercato. E poi cosa hai fatto?”. Ancora, se non siamo soliti scrivere le cose nell’agenda e tanto meno utilizziamo lo smartphone, nonostante tutte le applicazioni inimmaginabili,  quando fissiamo un appuntamento possiamo congedarci dicendo: “Ok, allora ci vediamo giovedì alle 16:00. Non ricordo male, vero?”. Oltretutto, ripetere alcune informazioni davanti alla persona, lascia meno spazio agli equivoci! 

Un’altra strategia è quella del CONTESTO: gli elementi che ruotano attorno al momento dell’apprendimento aiutano l’elaborazione dell’informazione. Ad esempio elaborare dove, il luogo fisico dove si sta imparando una cosa, la compagnia, il momento della giornata. I colori e i dettagli della situazione aumentano il bagaglio informativo e la ricerca di essi può aiutarci. Inoltre fare domande ad un eventuale interlocutore permette di chiarire alcune informazioni: d’altronde la possibilità di registrare qualcosa che non si è capito è minima. È più probabile che quando ci venga richiesto di riportare quanto appreso rispondiamo dicendo: “Mi ricordo di non aver capito nulla!”.

Dire le cose a VOCE ALTA. Questa strategia serve soprattutto per bloccare gli automatismi quotidiani, quelli che ci fanno perdere tempo perché non ricordiamo dove abbiamo messo le chiavi…ancora? Sì! Se agli automatismi sono accompagnate della abitudini solitamente le chiavi saranno al solito posto. Ma spesso questo non è sufficiente, soprattutto se non siamo abitudinari. Possiamo appoggiare le chiavi sul tavolo e dire: “Le chiavi sono sul tavolo”, oppure : “Le chiavi sono in borsa che appoggio qua!”. Le chiavi sono solo un esempio, ma questo capita ad esempio con la porta o con il gas, quando una volta infilati nel letto ci si sveglia pensando: “Ho chiuso il gas? Ho chiuso la porta?”. Queste azioni spesso non vengono minimamente elaborate a livello consapevole. Dire a voce alta l’azione che si sta compiendo aiuta a renderla più “reale” e da la possibilità poi di ricordarsi di averla fatta. È molto utile anche per chi deve seguire delle terapie farmacologiche: “Sono le 8:12 e ho preso la pastiglia”. Non a caso se ci capita qualcosa di extra mentre stiamo compiendo queste piccole consuetudini, ci ricordiamo maggiormente di averle fatte. Ad esempio quando ci cade una pastiglia! Infatti, quando ci domanderemo se le abbiamo prese diremo: “Ah sì....ricordo che mi è anche caduta!”.

Strategia dell’eliminazione degli ELEMENTI DISTRAENTI. Io la chiamerei anche cortesia e buon senso. Quante volte ci capita di rispondere con “ah a…ah a…” mentre qualcuno ci parla e  stiamo scrivendo al telefonino, per poi arrampicarsi agli specchi e cercando di cogliere l’ultimo pezzo del discorso per non far capire che non stavamo ascoltando. Ci sono persone che sono capaci di fare due cose senza che un’attività interferisca sull’altra. Se questo non è il nostro caso, allora, forse è consigliabile fare una cosa alla volta e concentrarci su quello che dobbiamo apprendere.

 

 

Queste piccole strategie permettono di canalizzare l’attenzione verso gli stimoli che ci giungono, renderli maggiormente consapevoli e, infine, sistemarli adeguatamente nella libreria dei nostri ricordi.

Ricordiamoci che non siamo infallibili e che capita a tutti di non prestare la giusta attenzione a quello che ci dicono gli altri o a quello che vediamo. Quindi, se nel momento in cui ci hanno detto il nome stavamo pensando ad altro, possiamo fare solo una cosa: chiedere di ripetere il nome! Vi sorprenderà notare che mentre viene ripronunciato non vi suonerà nuovo!