ALZHEIMER E CORONAVIRUS: UNA GESTIONE DIFFICILE IN TEMPI DIFFICILI

VIVERE CON UNA PERSONA CON ALZHEIMER DURANTE LA QUARANTENA

I primi giorni sono stati i più facili: la pazienza era tanta. “No mamma, ricordi? Non possiamo uscire perché c’è il coronavirus!”. Tre secondi di silenzio e la risposta arriva incerta: “…ah si…e cos’è?” e giù di nuovo a ripetere la stessa tiritera. Nella migliore delle ipotesi qualcosa rimane. Nella peggiore rimanere a casa diventa la nuova routine. Ma sarà funzionale?
In mezzo a tutto questo trambusto e sconvolgimento della vita quotidiana, tra le tante “categorie” di persone che vivono con particolare sofferenza le obbligate (seppur necessarie) mura domestiche ci sono anche loro: le persone con disturbo progressivo del decadimento cognitivo. Quasi sempre l’Alzheimer può essere considerato il caso più emblematico che meglio spiega le difficoltà di una persona che ne è affetta e le amplificate sfide giornaliere dei suoi cari. Ciononostante non si vuole dimenticare le altre forme di demenza o situazioni di sofferenza psico-cognitiva. Quello dell’Alzheimer vuole essere un esempio, vista l’elevata incidenza di tale patologia nella popolazione italiana (circa 1 milione di persone e circa 3 milioni i caregivers che sono coinvolti nella loro assistenza - si veda dati Ministero della Salute).
Questo momento storico che stiamo attraversando, quella della pandemia da COVID-19, diventa in particolar modo meno gestibile per quella classe di persone che si trovano tra l’incudine e il martello delle proprie autonomie, quelle persone dove la memoria fa cilecca e ci si dimentica dello stato di emergenza che imperversa nel nostro paese, quelle persone che sanno ancora cucinare purché nessuno interrompa quel ritmo, quelle mamme che non capiscono perché il proprio figlio o figlia sia andato a vivere con loro nonostante siano capaci di prendersi cura di se stesse, quando in realtà non è più così. Sto parlando di quelle persone che sono ancora capaci di fare tanto ma non sono capaci di essere attente all’emergenza e alle nuove restrizioni che di giorno in giorno aumentano il carico di apprendimento.

In particolare, e la letteratura a riguardo definisce bene le tipiche perdite cognitive delle persone con demenza, in questo contesto di novità l’informazione sulle nuove prassi quotidiane da seguire sui comportamenti di prevenzione vengono dimenticati facilmente: lavarsi frequentemente e per tot secondi le mani, starnutire o tossire all’interno del gomito, mettere la mascherina (sempre se ci si è ricordati di prenderla!). Per non parlare poi dell’alterata percezione del rischio aggravata dalla dimenticanza della pandemia in corso che supporta la totale inadeguatezza sociale delle distanze di sicurezza.

Se poi pensiamo a noi italiani e al nostro bisogno di baciare e toccare frequentemente
il nostro interlocutore, la prevenzione si va a fare benedire.

Il decreto a riguardo è chiaro: restare a casa. Giusto. Giustissimo e non si discute. Ma permetteteci di raccontarvi cosa vuol dire stare a casa tutto il giorno con una persona che ogni tanto, nei sempre meno frequenti orientamenti temporali, vedendo il calendario dice: “Ma oggi è giovedì, devo andare all’associazione di Volontariato”, con il quale si era lavorato tanto per permettere all’anziano di sentirsi utile anche se spesso combinava guai. Ancora si pensi al: “Ma oggi non devo andare al Centro?”, uno dei servizi di assistenza indispensabile per queste persone colpite da questa patologia e per i loro familiari e che ora all’epoca del Coronavirus è una realtà non più accessibile. Le risposte dei cari sono sempre le stesse: “No papà….ti ricordi che non si può uscire?”. Se il ricordo torna, se ancora un po’ della capacità di immagazzinare eventi recenti funziona, si è a cavallo. Ciononostante, invece di supportarlo facendogli i complimenti per esser riuscito a ricordarsi che giorno è (i fondamentali) lo si deve punire lasciandolo a casa. E forse alla lunga smetterà di far riferimento al calendario.

Ma cosa succede quando oltre alla dimenticanza di informazioni recenti scatta anche il pensiero “paranoide-persecutorio”: “Perché non mi vuoi far uscire?” con tutte le complicazioni del caso e la probabile presenza di disturbi comportamentali iniziali o già presenti? La conseguenza è che quelle quattro mura possano diventare un inferno per il paziente che non trova senso alla situazione attuale, dove non si sente creduto e in trappola e dove il familiare sempre più stanco inizia a cedere con risposte che non aiutano nel ridimensionamento della manifestazione di disagio, talora di aggressività. Alla meglio verbale.


In questo periodo di quarantena il disorientamento è la manifestazione più frequente, che non risparmia nessuno e che porta grosse ricadute anche sulla gestione della persona con demenza.
“Che giorno è oggi…martedì…ah no mercoledì è vero….mmmh meglio che controlli….ah no no mercoledì perché……..”. Quando parliamo di numeri del mese la cosa diventa più tragica: “Guarda….siamo già venti giorni rinchiusi in casa!” e l’altro “Mancano ancora 5 giorni….scusa…che giorno è oggi?”. Il primo “23”. Ancora l’altro: “Ma stai scherzando? Io non ci sto capendo più niente!!!”?
Ti ritrovi in questa conversazione se pensi all’ultimo periodo?

Se la risposta è affermativa, capirete quindi che, se è già difficile per chi non ha demenze, nonché possessore di validi strumenti di compensazione utili per il riorientamento (come la ricerca attiva di un’agenda o di un rapido sguardo al telefonino), l’orientamento temporale può in breve tempo dissolversi nelle persone con decadimento cognitivo. Una volta persa questa capacità il recupero è pressoché impossibile. Lasciati a se stessi o non seguite queste persone sarebbero capaci di arrivare all’inversione degli orari e a vivere nella totale confusione.

Le persone, perché tali sono e da tali devono essere trattate, con Alzhemeir (indipendentemente dal livello di decadimento) hanno bisogno di una routine e una continua stimolazione per contrastare le perdite ingravescenti derivanti dalla condizione patologica.

I ritmi della giornata e gli appuntamenti della settimana sono i maggiori punti di
riferimento per poter ancora percepirsi efficienti.

Ad esempio: si ricordano che il lunedì, mercoledì e il venerdì passa il pulmino che li porta al centro diurno o a fare fisioterapia al centro riabilitativo; si ricordano che se fuori c’è l’andirivieni delle persone che va al mercato è venerdì; sanno che se c’è tutta la famiglia a pranzo è domenica. Ancora sanno che se c’è la figlia a casa è fine settimana e tanti altri esempi. Allo stesso modo gli stessi eventi possono essere usati strategicamente per aiutare il mantenimento del ricordo e contrastare la perdita: “Solitamente che giorno viene a farci visita zia Giovanna?”. Il ricordo è più vivido quanto più consolidata da tempo è l’informazione: “Il martedì!!!”. “Ok nonna, allora che giorno è oggi visto che è venuta zia Giovanna?”. La nonna potrà più agevolmente rispondere: “Ah è vero…non ci avevo pensato…martedì!”.
Ma in questo tempo di restrizioni vengono a mancare proprio quei punti di riferimento che danno ritmo alla giornata e che vengono utilizzati sia dagli anziani con deficit che dai familiari per orientarsi.

L’orientamento temporale non è una banalità che si spegne nel saper dire che giorno è
e basta.

Vuol dire dare il via alle attività quotidiane, significa dare senso al tempo, indica che è ora di pianificare il pranzo, ti riporta sotto le coperte a orari decenti ed evita l’inversione del giorno con la notte, una condizione molto frequente nelle demenze.

Oltre all’orientamento temporale esiste anche quello spaziale, ovvero la capacità di essere consapevoli del dove si è e del dove si è diretti. Questa facoltà, oltre a quella della memoria, è una delle prime ad andare incontro al tilt. Sarà molto probabile che se fino a poco tempo fa, ancora prima del coronavirus, il vostro caro era capace di guidare ora, con una scusa o un’altra, gli sarà negata questa autonomia. Inoltre, tanto più è precoce l’insorgenza della patologia e molto più alta è la probabilità che la persona che ora non è più indipendente e libera di andare dove vuole provi vissuti di frustrazione e depressione. Se poi vi è una mancanza di riconoscimento delle proprie difficoltà non è inspiegabile l’opposizione comportamentale a tale provvedimento. Sorpassata la crisi iniziale si saranno magari costruite piccole attività in cui la persona ha imparato a sentirsi di nuovo tale: fare la spesa nel negozietto di zia Maria che è stata preventivamente avvertita, dall’edicolante che gli darà il giornale giusto anche se si è fatta richiesta di un altro, la trasferta per pranzo dalla sorella che vive a 500 metri di casa. Insomma si cercheranno di garantire delle autonomie per incentivare il senso di autoefficacia e dotare il proprio vivere quotidiano di significato.
In questo tempo però le cose sono completamente cambiate. Bisogna (si ribadisce la necessità) rimanere a casa.
Se partiamo dal fatto che le persone con demenza hanno un alterato giudizio critico, minor percezione del rischio, frequenti dimenticanze degli eventi recenti e un senso di “capacità generale” non realistico, sarà subito chiaro che dire loro che non possono fare neanche quelle poche attività che gli permetteva di essere autonomi nelle loro passeggiate equivale a toglierli tempo di vita. Vuol dire anche accelerare sulla perdita dell’orientamento spaziale che, seppur minima, veniva contrastata nel suo prosieguo incessante dal sorriso di zia Maria, da Bruno l’edicolante e dai ravioli di Veneranda.

Le restrizioni del #iorestoacasa hanno carattere di emergenza e come tale si applica indistintamente alla popolazione in generale. Purtroppo però questa totale inclusione è maggiormente sofferta da persone che cognitivamente non sono capaci di rendersi conto di quanto sta succedendo intorno.

Allora: cosa si può fare?

Come psicologhe che lavorano nella stimolazione e riabilitazione cognitiva ci si è chieste: cosa si può fare per contribuire a questo stato di emergenza e andare incontro in maniera alternativa al bisogno dei caregivers delle persone con Alzheimer e per loro stessi ai tempi del coronavirus?
L’azione descrittiva non può essere fine a se stessa. Bisogna dare soluzioni. Indicazioni per aiutare le persone che si trovano in queste condizioni, per tutelarsi dal Covid-19 senza però perdere quel ritmo, quelle abitudini che, come detto prima, una volta perse difficilmente faranno dietrofront.

Co.R.O.N.A.: UNO STRUMENTO PRATICO IN RISPOSTA ALL'EMERGENZA

 Viene presentato e proposto uno strumento di supporto e orientamento per i caregivers “ai tempi della quarantena”. Abbiamo deciso di chiamarlo Co.R.O.N.A. (Costruzione Rappresentativa Organizzata delle Normali Attività) per demonizzare il nome del virus che ormai è associato a malattia, isolamento e perdita.

Essendo la routine la maggiore risorsa per una persona con demenza è questa che abbiamo deciso di potenziare per poterla garantire con metodo in questo periodo di quarantena.
La situazione dettata dal COVID-19 è “straordinaria”. Il macro obiettivo deve essere quindi quello di rendere le mura di casa non solo un obbligo dettato dalle restrizioni, ma:

un’occasione per dotare di qualità la quotidianità.

Il Co.R.O.N.A. prevede la costruzione di un calendario settimanale che metta in evidenza strutturata tutte le attività che erano compiute con regolarità prima di iniziare la quarantena.
Armati di carta e penna e procedi secondo lo schema qui di seguito presentato.

  • COSA: scrivere tutte le attività che vengono svolte durante ogni singola giornata della settimana, a partire dalla levata fino al ritorno a letto. Riportare anche quelle apparentemente scontate (toilette, vestirsi…)
  • QUANDO: una volta individuate le attività tipiche, scrivere a fianco l’orario in cui solitamente vengono svolte.
  • COME: bisogna tenere conto della sequenzialità delle attività. Dopo averle identificate e associate ai corrispettivi orari, riportarle ordinate in un foglio o in uno schema, giorno per giorno. Può risultare d’aiuto lasciare degli spazi tra un’attività e l’altra per eventuali note come la nuova formula da usare per eseguire l’attività in casa.
  • SELEZIONE: alcune attività possono continuare ad essere svolte come se fosse la normalità; altre possono essere adeguate (cioè non vengono eseguite nella loro interezza ma con elementi sostitutivi); altre sono impossibili da eseguire o di difficile sostituzione. Evidenziate ognuna di queste categorie di un colore preciso. Noi vi consigliamo quelli del semaforo.

 

 

Questa prima parte serve per evidenziare in maniera concreta le routinarietà della persona, senza perdere elementi importanti. Si rende necessario sottolineare che il Co.R.O.N.A. strumento è utile a gestire nel qui ed ora lo stato di emergenza da coronavirus e quello di agevolare il futuro ritorno alla normalità finita la quarantena obbligata. È importante continuare a svolgere le attività significative per l’anziano, anche se in questo momento possono essere considerate superflue. Tutto ciò avrà una ricaduta positiva sull’umore e il senso di benessere della persona.

FASE TRASCRIZIONE
Ricostruire uno schema settimanale, o  se volete potete usare questo, possibilmente che non sia solo a disposizione del caregiver, ma anche della persona per cui è stato creato (in realtà se dovesse risultare d’aiuto per l’anziano, di converso lo sarà anche per la persona che se ne prende cura).

  • Ricostruzione base: riportate innanzitutto le attività primarie o selezionate come eseguibili inalterate (sveglia, colazione, toilette, pranzo, cena e buonanotte, terapia farmacologica etc.). Queste devono fungere da scheletro portante della quotidianità e seguire una costanza di orario durante la settimana. Sono le attività che scandiscono la giornata e sostengono l’orientamento temporale nell’arco delle 24 ore, come la comprensione del giorno e della notte.
  • Ricostruzione attività accessorie: riportate tutte quelle attività adattate (quelle selezionate in giallo) che possono essere eseguite in casa con la nuova formula. Cercate di rispettare l’esecuzione dei giorni prestabiliti in cui avvengono, sia gli orari. Ad esempio se l’attività e programmata per il martedì evitate di rimandarla. Questo aiuterà la persona a orientarsi nel tempo in termini settimanali.
    Si consigliano inoltre l’utilizzo di applicazioni di cognitiva gratuiti come
    Memorado, Neuronation, Brainilis, Peak...
  • Ideazione alternativa alle abitudini non sostituibili: alcune attività non possono proprio essere sostituite. Con molta probabilità saranno quelle che comportano l’uscita di casa. Anzi, si potrebbe dire che è l’azione della passeggiata indipendente quella che non può essere sostituita fisicamente. A sostegno dell’orientamento spaziale consigliamo le 3 seguenti attività:
    - Google maps in modalità Street View per tragitti abituali, per i caregivers tecnologici
    - Recupero verbale attivo del percorso. Fare domande che sollecitino l’immaginazione sui percorsi abituali. “Mamma proviamo a ripercorrere mentalmente la strada da casa fino al panettiere. Non sono sicura di ricordarla. Uscita di casa giriamo a destra e poi?...Arrivati all’incrocio tu dove vai: a destra o a sinistra?...”
    - Utilizzare immagini o video di luoghi familiari (chiesa, supermercato, etc..) e chiederne il riconoscimento.

 

 Ulteriori consigli utili

Se le condizioni lo permettono, cercare di integrare la persona con demenza nell’attività del Co.R.O.N.A. per sostenere il ruolo attivo e il senso di autoefficacia.

Lo schema completo deve essere leggibile, visibile e accessibile in qualsiasi momento (identificare un luogo fisico della casa dove posizionare il planning che permetta di soddisfare questi tre punti).

Posizionare un calendario monogiornaliero vicino al Co.R.O.N.A.. Clicca qui per un esempio.

Prima di svolgere alcune attività, chiedere al familiare di individuarle nello schema Co.R.O.N.A. Aiuterà lo stesso ad avere un’aumentata percezione del senso decisionale e di azione.

Il metodo Co.R.O.N.A. deve essere considerato uno strumento flessibile che può essere soggetto a riadeguamenti necessari e funzionali alla persona e ai bisogni emergenti. Ad esempio potete aggiungere piccole attività non previste come ripetitive; potete aggiornare la sezione pranzo e cena anticipando cosa ci sarà da mangiare, magari per stimolare la preparazione dei cibi.

Potete affiancare il planning con ulteriori strumenti che supportano l’idea organizzativa giornaliera in generale. Quindi: siate creativi ma organizzati!

 

 

IN LINEA CON TE


Seppur può sembrare semplice questo strumento si può andare incontro a delle difficoltà nella compilazione, nell’individuazione e nel riadattamento “casalingo” delle attività evidenziate in giallo. Per questo si è pensato di aiutare il caregiver con un supporto per la messa in atto dello schema Co.R.O.N.A..
Per ottenere l’aiuto basta chiamare il centralino della Clinica Tommasini che si è resa partner di questo servizio. Prenota il tuo spazio chiamando durante la settimana il numero 0782-7616. Il servizio di prenotazione del centralino è attivo dalle 08:00 alle 14:00 dal lunedì al venerdì. Il supporto è previsto tutti i giorni su prenotazione. Ti verranno fornite le informazioni per essere messo in contatto con le psicologhe ideatrici del Co.R.O.N.A., le dott.sse Deiana, Cossu e Pala che, formate nell’area neuropsicologica, vi sosterranno nella concretizzazione dello schema.

Si vuole ricordare che l’aiuto fornito ha carattere di straordinarietà e come tale cercherà di supportare e trovare insieme delle soluzioni legate alle problematiche scaturite dalla condizione di isolamento.
Chiunque pensi di poter aver bisogno di essere sostenuto nella pratica di questa attività, o vicine a questa, chiami per prenotare un appuntamento. Il centralino vi indicherà gli orari disponibili e le modalità di comunicazione a voi più pratiche.
Inoltre, in considerazione della necessità e delle problematiche a cui si può andare incontro, si è deciso di aprire una pagina dedicata su Facebook in questo periodo di quarantena, dove verranno inseriti argomenti e consigli utili per il vivere quotidiano con la persona con demenza.

Il modello proposto non ha pretesa di risolvere le pregresse problematiche legate alle difficoltà di gestione delle persone con demenza, ma vuole essere una possibilità d’aiuto durante l’isolamento sociale.

Si ricorda che il servizio di consulenza e di prenotazione è totalmente gratuito.
Rimani aggiornato mettendo MI PIACE sulla pagina dedicata su Facebook Il Coronavigus ai tempi dell’Alzheimer

Planning settimanale.pdf (384,88 kb) scaricabile da stampare.

Alzheimer e Coronavirus_una gestione difficile in tempi difficili (web).pdf (1,82 mb)

PER CHIUDERE CON LEGGEREZZA E TRATTO DA STORIE REALMENTE ACCADUTE

Indubbiamente questo periodo non è facile per nessuno. Di sicuro neanche per i caregivers. Ma c’è chi nonostante tutto riesce a condividere con un sorriso uno dei tanti momenti che mettono in evidenza la tendenza, tipica nei grandi adulti, a storpiare le parole.
Racconta una figlia che era fuori di casa con il papà a guardare il campo, vicino all’abero di fichi: “Andiamo a raccogliere asparagi?”. E la figlia per l’ennesima volta: “Papà, ti ricordi che c’è la pandemia?”. Con un guizzo nello sguardo e con manifestazione incredula di essersi ricordato il nome, l'anziano bistratta il nostro invisibile nemico: “Hai ragione! Questo cavolo di coronavigus!!!!”.
E nonostante tutto, si inizia a ridere. Assieme.

Alla realizzazione di questo documento hanno partecipato la dott.ssa Deiana Anna Rita, psicologa che opera nel territorio dell’Ogliastra e collabora con la Clinica Tommasini di Jerzu; la dott.ssa Cossu Veronica, psicologa impiegata al Centro Diurno Like Home nel comune di Quartu Sant'Elena; la dott.ssa Pala Francesca, psicologa e psicoterapeuta, che lavora nel territorio della Città Metropolitana di Cagliari. Tutte e tre le professioniste hanno prestato il loro tempo nella costruzione del modello Co.R.O.N.A. e quello per la futura  assistenza telefonica in maniera volontaria e gratuita. Si ringrazia la disponibilità della Clinica Tommasini di Jerzu per il servizio offerto gratuitamente.
Un ringraziamento speciale al familiare di un nostro paziente con Alzheimer che ha dato spunto a questo lavoro e ha lavorato convinto e fiero dietro le quinte. 
Aprile 2020.

 

ALZHEIMER: STORIE DELL'ALTRO MONDO!

Zia Cosima sa tante cose, nonostante ne abbia dimenticate alcune. A volte troppe. Ma si ricorda che bisogna lavorare tanto per portare ogni giorno il pane a casa. Sa come si chiamano i suoi genitori, e si arrabbia quando le dicono che è da tanto tempo che non ci sono più. Ma lei  ha ragione ad adirarsi, visto che nella sua testa vivono ancora. Quando era giovane ha imparato le buone maniere e la necessità di mantenere un certo contegno quando si  è in pubblico ed evitare di restare da sola in delle stanze con degli uomini: poco decoroso per le donne di un “tempo”. Anche se uno di questi uomini è suo nipote. Ma lei non sa di averne uno; il figlio della sorella.

Ora neanche quella sorella esiste più, a volte nemmeno nella sua testa. Eppure, Simone, è l’unico familiare che le rimane, e lui, le vuole veramente bene. Simone  non combatte il mondo di zia Cosima, bensì lo vive. Sa che lei è cresciuta con l’idea di ciò che è permesso o meno alle donne di tanti anni fa. Da parte sua, zia Cosima, si ribella a stare da sola in una stanza con uno sconosciuto, tanto da volersene andare via da “quella casa” che non è sua quando il nipote rimane a farle compagnia. Un nipote che non riconosce.

Simone allora decide di usare i vestiti tipici della signora: indossa il fazzoletto e lunghe gonne alle caviglie; mette il grembiule e aggiusta la voce  al femminile. Ed eccoli di nuovo a discutere del più e del meno, come se la loro distanza non esistesse più, come se tempo, spazio e persone siano solo un concetto astratto. Una chiacchierata come sempre.

 

Giovanna vive da sola in una grande città. La  vita non le ha dato tante fortune, lasciandola senza un aiuto familiare. Solo una vecchia amica di tanto in tanto va a farle visita. Ma ancora nessuno si è deciso a prendersi cura di lei. Totalmente. I vicini di casa piano piano si sono allontanati, da quando lei ha iniziato a diventare strana: è una che disturba! Fa rumori nelle ore più improbabili ed è vestita sempre allo stesso modo! Eppure un tempo lei veniva definita la donna più bella del condominio. Ora invece viene vista come la più chiassosa, l’irrispettosa. Tanto che una volta, i vicini, chiamarono i carabinieri. Questi arrivarono subito  e pronti a porre fine agli schiamazzi. Parlarono  con la signora che, incontrollabile e su tutte le furie, accusava la presenza di un estranea in casa sua. Ma in casa non  c’era nessuno…com’era possibile? Le chiesero allora di mostrargli l’intrusa. Lei, senza indugio, indicò la persona: un riflesso tale e quale alla signora Giovanna. Il più giovane dei due gendarmi, allora, capì. Senza indugio le diede ragione sulla presenza dell’estranea; intimarono la signora ad uscire dalla stanza per poter procedere all’arresto. Dopo alcuni minuti fecero rientrare la signora e le chiesero se vedeva ancora la non gradita presenza. La signora si tranquillizzò e ringraziò. I carabinieri uscirono, portando con loro  uno specchio; lo specchio dove il riflesso della signora Giovanna rappresentava una sconosciuta.

 

Il signor Mirco viveva ormai da tanto tempo in una struttura. Nonostante non ricordava le cose recenti, una solida nuova routine quotidiana l’aiutava a vivere meglio. Fino al giorno in cui iniziò a sbraitare contro la signora che le faceva fare ginnastica, la fisioterapista,  sostenendo il fatto di quanto fosse incapace e cattiva. Nessuno riusciva a farlo ragionare; alcuni l’accusavano di  esagerare. Finché non passò per lo stesso corridoio la responsabile della struttura che gli chiese per cortesia di dedicarle un minuto in privato nel suo ufficio. Entrati e accomodati, con non poche difficoltà, la direttrice chiese al signor Mirco di farsi raccontare tutto. E lui iniziò il suo monologo, tra la rabbia e l’incredulità di dover subire le antipatie della sua fisioterapista. Una volta esposto il caso, e fattasi raccontare i dettagli per l’identificazione dell’operatrice, la responsabile prese il telefono e con tono minaccioso sollecitò il cambio urgente della fisioterapista con un’altra persona. Alzò la voce e sembrava non voler sentir ragioni. Dopodiché, abbassò la cornetta e comunica al signor Mirco che quella fisioterapista sarebbe stata cambiata e forse licenziata. Il signor Mirco ringraziò, uscì da dalla stanza  per dirigersi alle sue attività quotidiane. La responsabile rimase sola nella stanza, pensierosa e forse un po’ dispiaciuta. Poi si ricordò che doveva fare una telefonata. Questa volta con una reale persona dall’altra parte del telefono.

 

Queste sono tre piccole storie di tre persone affette da Alzheimer. Ma sono sempre tre persone. Non è possibile, una volta che la malattia ha preso la meglio, far sì che loro tornino nel nostro mondo e pretenderlo vorrebbe dire non incontrarsi mai. Entrambi gli  interlocutori  ne rimarrebbero insoddisfatti e frustrati. Considerando le capacità e l’inventiva che più o meno ognuno di noi può possedere, entrare nel mondo di zia Cosima, di signora Giovanna o del signor Mirco vuol dire aiutare queste persone a sentirsi tali; vuol dire  non farli provare l’umiliazione di non essere credute e lo spavento nel sentirsi impazzire. Aiutarle in questo modo non significa prenderle in giro, ma collocarsi ad un livello comunicativo extra per tornare alla “normalità”.

Entrare in quel mondo, forse a volte delirante, vuol dire riconoscerle come persone e dare un senso al loro vissuto.

 Photo by Rémi Walle on Unsplash

 

Come familiari talora non è facile giostrarsi nei labirinti sconosciuti dei propri cari, perché non riflettono l’immagine che essi hanno sperimentato lungo il corso della loro  vita. Fa male non riconoscere un proprio genitore, che a volte scade nella volgarità o racconta qualcosa che sembra assurdo per un figlio. Purtroppo la qualità del vissuto della persona con demenza  non può essere controllato; può invece variare la qualità del contatto con il suo mondo, per vivere una relazione sicuramente diversa, e indubbiamente più proficua e serena per entrambi.

 

 

"QUINDI ORA MI STAI PSICANALIZZANDO?". Differenze tra psicologo, psichiatra e psicoterapeuta.

 

Quando mi capita di conoscere qualcuno, in un contesto sociale che esula dalla mia attività, e dichiaro di essere una psicologa, spesso mi sento dire diverse cose. Senza entrare nelle più svariate e creative affermazioni, credo che quella più emblematica sia: “Quindi ora mi stai psicanalizzando???”. La mia risposta è sempre no, perché io non sono una psicanalista, e quindi non sono una psicoterapeuta, ma sono psicologa.

Facciamola semplice. Quindi cercherò di spiegare brevemente  chi sono le figure che ho riportato nel titolo.

PSICOLOGO/A Si definisce tale, la persona che ha svolto un percorso di laurea di 5 anni, praticato un anno di tirocinio formativo post laurea e sostenuto l’EdS (Esame di Stato), conseguito e quindi abilitato. Può praticare tale attività solo se risulta iscritto all’OdP (Ordine degli Psicologi), solitamente della propria regione di attività. Lo psicologo può svolgere tutte le attività che sono riportate nell’art.1 legge 56/1989, e in congruenza delle competenze acquisite.

PSICHIATRA. È una persona che ha seguito tutto l’iter formativo per diventare medico, prima, e psichiatria come specializzazione. Senza altra formazione, l’attività principale dello psichiatra è quello di prescrivere farmaci, solitamente psicofarmaci, per contrastare i disturbi mentali.

PSICOTERAPEUTA. Corrisponde, almeno in Italia, a quella persona che è abilitata nella professione di  psicologo o di medico, a cui poi ha aggiunto un percorso di specializzazione in psicoterapia (solitamente di 4 anni). Le attività dello psicoterapeuta sono ugualmente riportate nel già suddetto art.

Ora, prima di concludere, è giusto specificare che, mentre la formazione per diventare psicologo non è uguale per tutti, tale differenziazione aumenta nel percorso di specializzazione. Per poter “psicanalizzare” qualcuno, bisogna aver fatto la suola psicoterapeutica di stampo Freudiano e autori successivi. Quella Junghiana è invece viene chiamata Psicoterapia Analitica. Tra le più conosciute vi sono la Cognitiva-Comportamentale, la scuola Sistemica Familiare, la scuola Costruttivista, quella Gestaltica e altre. Poi alcune possono seguire un indirizzo più infantile, adolescenziale, altre più legate alla sfera adulta o alla famiglia.

Nonostante vi siano degli studi che promuovono e attestano un maggiore successo tra l’abbinamento di “disturbo” e psicoterapia, io credo che il percorso più efficiente dipenda dalla persona, dal professionista e le sue competenze e l’interazione tra questi elementi.  D’altronde, come dicono i gestaltisti:  “Ogni insieme è qualcosa di più della semplice somma delle sue parti”.

OPS...NON ME LO RICORDO....!

Quante volte sarà capitato di sentirvi in imbarazzo davanti a qualcuno perché “sapete di conoscerlo ma non vi ricordate chi è”, o non riuscite a trovare le chiavi perché non vi sovviene dove le avete messe,  oppure non vi viene in mente il nome di una persona che avete conosciuto giorni prima o ancora vi capita di dire a qualcuno: “perché non me l’hai detto prima?” ricevendo come risposta: “te l’ho detto!”.

 

 

Senza entrare negli allarmismi di un: “Oddio, mi sta venendo l’Alzheimer”, è bene ricordare che sono diversi i fattori (attenzione, memoria, contesto, interesse, emozioni…) che entrano in gioco sia nella memorizzazione che nel recupero delle informazioni; quindi è possibile dimenticare informazioni a qualsiasi età. Inoltre è bene ricordarsi, citando Tulving e Thompson (1973) che “si può recuperare solo quello che si è immagazzinato, e….come ciò possa essere recuperato dipende da come è stato immagazzinato”. In parole povere: a volte non possiamo ricordarci di un informazione che non è mai entrata nel nostro bagaglio di ricordi, o se c’è, ritrovarla dipende da come l’abbiamo riposta in valigia.

Prima ancora di pensare alle strategie di recupero, è più utile quindi parlare di strategie di immagazzinamento. Queste ci aiutano a rendere più stabile il ricordo non solo nel tempo, ma anche in termini descrittivi, in modo più dettagliato.

Alcune di queste strategie le mettiamo in pratica senza rendercene conto (il processo di memorizzazione è automatico), e ancora di più quando proviamo un grande interesse per qualcosa o qualcuno; proprio perché ci vengono così naturali e motivate da qualcosa che ci tocca emozionalmente parlando, non sono riconosciute. Vi sono però dei casi in cui il loro utilizzo consapevole, a volte un po’ meccanico, ci può venire in soccorso e prevenire figuracce o dispendio inutile di tempo nel recupero (ad esempio quando proprio non ricordiamo dove abbiamo messo le chiavi).

Una delle problematiche maggiori riguardo a queste dimenticanze riguarda l’attenzione e gli automatismi. Quando lasciamo che il nostro corpo faccia le cose senza che noi ci pensiamo, allora capita che non ricordiamo. L’ATTENZIONE è la capacità di una persona di rivolgere i propri sensi (uditivi, visivi..) verso uno stimolo; l’AUTOMATISMO è la capacità di fare un qualcosa senza usare, o solo in parte, l’attività cognitiva volontaria. Si pensi ad esempio quando siamo al volante: non pensiamo a tutto quello che dobbiamo fare per cambiare la marcia o quando dobbiamo fermare il veicolo perché siamo giunti a casa. Attenzione e automatismo tendenzialmente sono due abilità che utilizziamo in maniera inversa: all’aumentare dell’una diminuisce l’altra. La caratteristica principale dell’automatismo e di renderci più competenti e veloci quando facciamo una cosa: sarebbe infatti impensabile passare in rassegna, ragionare su tutti i movimenti e le azioni da mettere in pratica per guidare o suonare uno strumento. Solitamente questo lo facciamo quando stiamo imparando qualcosa di nuovo. Così anche nella vita di tutti i giorni la presenza degli automatismi ci rendono capaci di fare tante cose a discapito però di una elaborazione quanto più consapevole e raffinata. Ed ecco che ci capita di andare in un negozio che si trova nella strada che facciamo tutti i giorni per andare a lavoro, accorgendoci però ad un certo punto di essere andati oltre, guidati, in tutti i sensi, dall’abitudine piuttosto che dal bisogno del momento. E ci capita ancora di più quando si vive un momento di alto stress e le preoccupazioni ingombrano il nostro spazio razionale.

Altre elementi che disturbano l’elaborazione congrua di un informazione sono le interferenze, ovvero degli eventi o stimoli che richiamano l’attenzione a discapito di quelli che dovremmo registrare. Quando ci viene presentata una persona siamo talora più propensi a dare una bella stretta di mano per dare una buona impressione invece che concentrarci sul nome che la persona ci sta dichiarando. In quel momento, quell’atto sociale impegna il nostro spazio attentivo impedendoci di registrare adeguatamente l’informazione del nome.

Gli esempi che si possono fare sono tantissimi e, sono sicura, che se ci pensate un attimo verrà in mente anche a voi qualche episodio che, se analizzato dal punto di vista dell’attenzione, non mancherete di notare che vi è capitato.

Allora: come migliorare la nostra capacità di “immagazzinamento” e ottenere una elaborazione profonda? All’inizio non sarà facile, perché richiede l’azione volontaria di alcune strategie; successivamente potrebbe diventare uno strumento a cui attingere senza troppe complicazioni e, per alcuni versi, automatico.

Una prima strategia è quella della VISUALIZZAZIONE: visualizzare vuol dire rendere visivo. Se ad esempio stiamo ascoltando una descrizione possiamo immaginarla nella nostra testa. Questo è molto utile anche durante lo studio perché permette di aggiungere un informazione visiva a quanto stiamo leggendo. La memoria visiva, solitamente, ha una durata maggiore di quella verbale. Quindi, quando qualcuno ci sta raccontando qualcosa, possiamo provare ad immaginarla come un film.

 

 

La seconda strategia è quella delle ASSOCIAZIONI: questa può essere utilizzata soprattutto quando dobbiamo ricordarci un nome o una notizia.  Se una persona si presenta dicendovi che si chiama Stefano, potete cercare tra le vostre conoscenze una persona che si chiami così: ad esempio vostro cugino… magari aggiungendo informazioni come: quello che vive a Roma. Inoltre, farsi dire il cognome aiuta in due modi: si può invitare a chiedere il cognome ripetendo il nome: Stefano…? Cogliendo l’occasione per ripetere a voce alta il nome e, secondariamente ottenendo una maggiore informazione e aumentando le associazioni: Abate, come S. Antonio.

Durante una conversazione poi, ci possono essere molti elementi che possono essere associati con quello che noi possediamo già in magazzino. Pensarle come risorsa e cercarne per usarle a nostro vantaggio migliora quindi la traccia e, di conseguenza, il recupero.

 

La cara e vecchia strategia della RIPETIZIONE: può essere utile, durante una conversazione, fare delle domande agganciandosi all’ultima parte del discorso e utilizzandola nella prima parte di quello che si dice: “Quindi…prima di andare da lei sei andato al supermercato. E poi cosa hai fatto?”. Ancora, se non siamo soliti scrivere le cose nell’agenda e tanto meno utilizziamo lo smartphone, nonostante tutte le applicazioni inimmaginabili,  quando fissiamo un appuntamento possiamo congedarci dicendo: “Ok, allora ci vediamo giovedì alle 16:00. Non ricordo male, vero?”. Oltretutto, ripetere alcune informazioni davanti alla persona, lascia meno spazio agli equivoci! 

Un’altra strategia è quella del CONTESTO: gli elementi che ruotano attorno al momento dell’apprendimento aiutano l’elaborazione dell’informazione. Ad esempio elaborare dove, il luogo fisico dove si sta imparando una cosa, la compagnia, il momento della giornata. I colori e i dettagli della situazione aumentano il bagaglio informativo e la ricerca di essi può aiutarci. Inoltre fare domande ad un eventuale interlocutore permette di chiarire alcune informazioni: d’altronde la possibilità di registrare qualcosa che non si è capito è minima. È più probabile che quando ci venga richiesto di riportare quanto appreso rispondiamo dicendo: “Mi ricordo di non aver capito nulla!”.

Dire le cose a VOCE ALTA. Questa strategia serve soprattutto per bloccare gli automatismi quotidiani, quelli che ci fanno perdere tempo perché non ricordiamo dove abbiamo messo le chiavi…ancora? Sì! Se agli automatismi sono accompagnate della abitudini solitamente le chiavi saranno al solito posto. Ma spesso questo non è sufficiente, soprattutto se non siamo abitudinari. Possiamo appoggiare le chiavi sul tavolo e dire: “Le chiavi sono sul tavolo”, oppure : “Le chiavi sono in borsa che appoggio qua!”. Le chiavi sono solo un esempio, ma questo capita ad esempio con la porta o con il gas, quando una volta infilati nel letto ci si sveglia pensando: “Ho chiuso il gas? Ho chiuso la porta?”. Queste azioni spesso non vengono minimamente elaborate a livello consapevole. Dire a voce alta l’azione che si sta compiendo aiuta a renderla più “reale” e da la possibilità poi di ricordarsi di averla fatta. È molto utile anche per chi deve seguire delle terapie farmacologiche: “Sono le 8:12 e ho preso la pastiglia”. Non a caso se ci capita qualcosa di extra mentre stiamo compiendo queste piccole consuetudini, ci ricordiamo maggiormente di averle fatte. Ad esempio quando ci cade una pastiglia! Infatti, quando ci domanderemo se le abbiamo prese diremo: “Ah sì....ricordo che mi è anche caduta!”.

Strategia dell’eliminazione degli ELEMENTI DISTRAENTI. Io la chiamerei anche cortesia e buon senso. Quante volte ci capita di rispondere con “ah a…ah a…” mentre qualcuno ci parla e  stiamo scrivendo al telefonino, per poi arrampicarsi agli specchi e cercando di cogliere l’ultimo pezzo del discorso per non far capire che non stavamo ascoltando. Ci sono persone che sono capaci di fare due cose senza che un’attività interferisca sull’altra. Se questo non è il nostro caso, allora, forse è consigliabile fare una cosa alla volta e concentrarci su quello che dobbiamo apprendere.

 

 

Queste piccole strategie permettono di canalizzare l’attenzione verso gli stimoli che ci giungono, renderli maggiormente consapevoli e, infine, sistemarli adeguatamente nella libreria dei nostri ricordi.

Ricordiamoci che non siamo infallibili e che capita a tutti di non prestare la giusta attenzione a quello che ci dicono gli altri o a quello che vediamo. Quindi, se nel momento in cui ci hanno detto il nome stavamo pensando ad altro, possiamo fare solo una cosa: chiedere di ripetere il nome! Vi sorprenderà notare che mentre viene ripronunciato non vi suonerà nuovo!

 

PERCORSO DI GRUPPO: MANGIA COME PENSI

          

 

Quante volte si è pensato di "curare" la propria ALIMENTAZIONE, ma poi il momento non era mai quello giusto? Quante volte si è iniziata una DIETA e poi ABBANDONATA per diversi motivi? Quante volte si dice che si conoscono i propri limiti nel modo di mangiare, ma poi NON SI SA COME FARE per cambiarli?

Alla base di qualsiasi alimentazione, un COMPORTAMENTO ALIMENTARE ADEGUATO aiuta a entrare in sintonia con il proprio corpo, a mangiare senza sentirsi in colpa e a saper dire di no senza soffrire e "offendere nessuno" (come per esempio quando si va a far visita alla cara vecchia zia).

Quello che propongo, allora, è un percorso alternativo per imparare a NUTRIRE CORPO E MENTE in maniera consapevole e attiva,  un percorso di PSICOEDUCAZIONE ALIMENTARE DI GRUPPO per condividere le proprie difficoltà e dove i propri successi troveranno apprezzamento; un strada verso uno stile alimentare più adeguato vissuta in compagnia, sostenuta a vicenda e forse con un senso di leggerezza che non guasta.

IN COSA SI GUADAGNA?

Il percorso ha benefici a livello psicologico, come miglioramento dell’AUTOSTIMA e del senso di AUTOEFFICACIA;  a livello cognitivo con rafforzamento delle abilità CONTROLLO e di INIBIZIONE AGLI IMPULSI; a livello fisico, si riscontra una tendenza alla NORMOREGOLAZIONE DEL PESO.

 PER CHI È PENSATO?

Il saper mangiare bene dovrebbe essere l’obiettivo di tutti. Il percorso quindi è aperto a tutti, e in particolar modo a quelle persone che hanno bisogno di rivedere la propria organizzazione alimentare. 

A CHI È CONSIGLIATO?

Alle persone con sovrappeso (i casi di obesità possono essere presi in considerazione) , con difficoltà di autocontrollo nell’assunzione di cibo in termini di qualità e quantità. 

COME FUNZIONA?

Il percorso è suddiviso in diverse fasi. La prima è quella della VALUTAZIONE del comportamento alimentare. Una volta effettuato il colloquio, si passa all'inserimento delle persone nel PERCORSO di gruppo. In questa fase saranno consegnati degli obiettivi settimanali. Nella fase finale si verificano le autonomie apprese, per poi raggiungere la fase conclusiva e VERIFICA dei traguardi raggiunti. 

COME FARE PER ACCEDERE AL PERCORSO?

Per poter seguire questo percorso, è sufficiente fissare un appuntamento, o chiedere maggiori informazioni, telefonando al 389 78 29 791 o mandando un email a info@annaritadeiana.com .

Iniziamo da qui...

La sezione NEWS, così come il blog, nasce dalla voglia di rendere il sito dinamico. Le news hanno lo scopo di informare gli utenti, che arrivano in questo spazio, delle novità sui servizi legati alla mia attività ma anche di eventi promossi nel territorio ogliastrino che possono essere occasione di crescita per chiunque. Sempre in questa sezione saranno trattate anche le novità di tipo scientifico legate alla mia professione.
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