ALZHEIMER: STORIE DELL'ALTRO MONDO!

Zia Cosima sa tante cose, nonostante ne abbia dimenticate alcune. A volte troppe. Ma si ricorda che bisogna lavorare tanto per portare ogni giorno il pane a casa. Sa come si chiamano i suoi genitori, e si arrabbia quando le dicono che è da tanto tempo che non ci sono più. Ma lei  ha ragione ad adirarsi, visto che nella sua testa vivono ancora. Quando era giovane ha imparato le buone maniere e la necessità di mantenere un certo contegno quando si  è in pubblico ed evitare di restare da sola in delle stanze con degli uomini: poco decoroso per le donne di un “tempo”. Anche se uno di questi uomini è suo nipote. Ma lei non sa di averne uno; il figlio della sorella.

Ora neanche quella sorella esiste più, a volte nemmeno nella sua testa. Eppure, Simone, è l’unico familiare che le rimane, e lui, le vuole veramente bene. Simone  non combatte il mondo di zia Cosima, bensì lo vive. Sa che lei è cresciuta con l’idea di ciò che è permesso o meno alle donne di tanti anni fa. Da parte sua, zia Cosima, si ribella a stare da sola in una stanza con uno sconosciuto, tanto da volersene andare via da “quella casa” che non è sua quando il nipote rimane a farle compagnia. Un nipote che non riconosce.

Simone allora decide di usare i vestiti tipici della signora: indossa il fazzoletto e lunghe gonne alle caviglie; mette il grembiule e aggiusta la voce  al femminile. Ed eccoli di nuovo a discutere del più e del meno, come se la loro distanza non esistesse più, come se tempo, spazio e persone siano solo un concetto astratto. Una chiacchierata come sempre.

 

Giovanna vive da sola in una grande città. La  vita non le ha dato tante fortune, lasciandola senza un aiuto familiare. Solo una vecchia amica di tanto in tanto va a farle visita. Ma ancora nessuno si è deciso a prendersi cura di lei. Totalmente. I vicini di casa piano piano si sono allontanati, da quando lei ha iniziato a diventare strana: è una che disturba! Fa rumori nelle ore più improbabili ed è vestita sempre allo stesso modo! Eppure un tempo lei veniva definita la donna più bella del condominio. Ora invece viene vista come la più chiassosa, l’irrispettosa. Tanto che una volta, i vicini, chiamarono i carabinieri. Questi arrivarono subito  e pronti a porre fine agli schiamazzi. Parlarono  con la signora che, incontrollabile e su tutte le furie, accusava la presenza di un estranea in casa sua. Ma in casa non  c’era nessuno…com’era possibile? Le chiesero allora di mostrargli l’intrusa. Lei, senza indugio, indicò la persona: un riflesso tale e quale alla signora Giovanna. Il più giovane dei due gendarmi, allora, capì. Senza indugio le diede ragione sulla presenza dell’estranea; intimarono la signora ad uscire dalla stanza per poter procedere all’arresto. Dopo alcuni minuti fecero rientrare la signora e le chiesero se vedeva ancora la non gradita presenza. La signora si tranquillizzò e ringraziò. I carabinieri uscirono, portando con loro  uno specchio; lo specchio dove il riflesso della signora Giovanna rappresentava una sconosciuta.

 

Il signor Mirco viveva ormai da tanto tempo in una struttura. Nonostante non ricordava le cose recenti, una solida nuova routine quotidiana l’aiutava a vivere meglio. Fino al giorno in cui iniziò a sbraitare contro la signora che le faceva fare ginnastica, la fisioterapista,  sostenendo il fatto di quanto fosse incapace e cattiva. Nessuno riusciva a farlo ragionare; alcuni l’accusavano di  esagerare. Finché non passò per lo stesso corridoio la responsabile della struttura che gli chiese per cortesia di dedicarle un minuto in privato nel suo ufficio. Entrati e accomodati, con non poche difficoltà, la direttrice chiese al signor Mirco di farsi raccontare tutto. E lui iniziò il suo monologo, tra la rabbia e l’incredulità di dover subire le antipatie della sua fisioterapista. Una volta esposto il caso, e fattasi raccontare i dettagli per l’identificazione dell’operatrice, la responsabile prese il telefono e con tono minaccioso sollecitò il cambio urgente della fisioterapista con un’altra persona. Alzò la voce e sembrava non voler sentir ragioni. Dopodiché, abbassò la cornetta e comunica al signor Mirco che quella fisioterapista sarebbe stata cambiata e forse licenziata. Il signor Mirco ringraziò, uscì da dalla stanza  per dirigersi alle sue attività quotidiane. La responsabile rimase sola nella stanza, pensierosa e forse un po’ dispiaciuta. Poi si ricordò che doveva fare una telefonata. Questa volta con una reale persona dall’altra parte del telefono.

 

Queste sono tre piccole storie di tre persone affette da Alzheimer. Ma sono sempre tre persone. Non è possibile, una volta che la malattia ha preso la meglio, far sì che loro tornino nel nostro mondo e pretenderlo vorrebbe dire non incontrarsi mai. Entrambi gli  interlocutori  ne rimarrebbero insoddisfatti e frustrati. Considerando le capacità e l’inventiva che più o meno ognuno di noi può possedere, entrare nel mondo di zia Cosima, di signora Giovanna o del signor Mirco vuol dire aiutare queste persone a sentirsi tali; vuol dire  non farli provare l’umiliazione di non essere credute e lo spavento nel sentirsi impazzire. Aiutarle in questo modo non significa prenderle in giro, ma collocarsi ad un livello comunicativo extra per tornare alla “normalità”.

Entrare in quel mondo, forse a volte delirante, vuol dire riconoscerle come persone e dare un senso al loro vissuto.

 Photo by Rémi Walle on Unsplash

 

Come familiari talora non è facile giostrarsi nei labirinti sconosciuti dei propri cari, perché non riflettono l’immagine che essi hanno sperimentato lungo il corso della loro  vita. Fa male non riconoscere un proprio genitore, che a volte scade nella volgarità o racconta qualcosa che sembra assurdo per un figlio. Purtroppo la qualità del vissuto della persona con demenza  non può essere controllato; può invece variare la qualità del contatto con il suo mondo, per vivere una relazione sicuramente diversa, e indubbiamente più proficua e serena per entrambi.

 

 

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